Filodrammatica ViVa di Vigolo Vattaro - Altopiano della Vigolana (Trento) - Italia

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Scritti » Filo Filò » Filo Filò - Aprile 1990 » Interviste1

INTERVISTE

In questo numero termina l'intervista al socio più anziano Giovanni Tamanini. Ricordiamo che questo serve per far conoscere a tutti, attraverso i suoi ricordi, la storia della nostra filodrammatica.
Ecco quanto ha raccontato a Cristian:

D    Quale era la vostra sede?

R    Prima che ci fosse l’Oratorio si andava in Canonica e poi dopo sempre a Teatro.

D    A che ora vi trovavate?

R    Sempre verso le 7.30 o le 8.00 di sera.

D    Com’era il pubblico?

R    Scarso, c’erano pochi denari.

D    C’erano sempre quelli, gli affezionati?

R    Si quasi sempre quelli. Alcuni dell’Ideal Concordia venivano per curiosità, specialmente quando c’è stata la lite fra le due società. Però anche alcuni di noi andavamo a vedere le loro rappresentazioni.

D    Ma l’Ideal Concordia era di matrice laica?

R    Sì era un po’ differente dal Partito Popolare come ideali, però era composta da buona gente.

D    La Filo che nome ha preso?

R    Filodrammatica S.Giorgio.

D    Qual’era il prezzo del biglietto?

R    Sì, mi ricordo bene: era 1 £ e 50 per i primi posti e 1 £ per le panche. Perché il teatro era fatto così: in fondo c’erano quattro file di sedie, che erano i primi posti; sul davanti c’erano delle lunghe panche di legno che andavano da una parte all’altra con una sola corsia nel mezzo.

D    Quanti posti aveva il teatro?

R    Parecchi, 150 posti di sicuro ed era più piccolo di adesso.

D    Come facevate con i copioni?

R    Ognuno doveva ricopiare la sua parte a mano. Quando ero fidanzato la copiava mia moglie.

D    Le parti le studiavate a memoria o c’era il suggeritore?

R    C’erano tre suggeritori: uno, al centro nella buca che ora è stata eliminata, ed era molto d’aiuto perché metteva tutte le parole in bocca e gli altri due, uno da una parte e l’altro dall’altra del palco. Uno era mio fratello Umberto, un’altro era il Carletto ”Molinar” che era il migliore di tutti.

D    Il testo chi lo sceglieva?

R    Sempre il Sacerdote.

D    Era a sfondo morale, religioso?

R    No, no, ma si capiva che le donne venivano sempre nominate e mai presentate. Abbiamo fatto ad esempio ”Il conte di S.Germano”, ”Papà Falot”  e ”Padri e figli”, commedie che duravano anche 3 ore.

D    Andavate sempre d’accordo fra di voi?

R    Ad essere sinceri c’erano anche discordie.

D    C’è qualche episodio che le è restato particolarmente impresso?

R    Quando abbiamo fatto ”Il conte di S.Germano”, ad un certo momento il conte, che impersonavo io, si figurava la scena in cui il suo castello andava a fuoco e diceva queste famose parole: «Qua il mio castello è in fiamme! Fuoco, fuoco!».
In quel periodo c’era un ragazzo che si poteva mandare dappertutto e stava sempre con la bocca aperta ad ascoltare. E` successo che quando abbiamo fatto questa commedia, che abbiamo rappresentato più volte perché ce l’hanno richiesta (l’abbiamo fatta anche a Taio), quando questo ragazzo mi incontrava per la strada invece che dirmi «ciao Giovanni» da distante e talvolta in piazza gridava: «Fuoco, fuoco» e tutta la gente si voltava a guardare quello che succedeva.
Un’altra volta il parroco ci ha raccontato di una volta in cui ad un ragazzo, pur di fargli dire qualcosa, aveva assegnato una parte nella quale appoggiato ad una finestra doveva dire come unica battuta: «quanta folla in quella strada». Prima del debutto il parroco gli raccomandò di stare attendo a non sbagliare la battuta. Al momento fatidico questo ragazzo disse: «quanta strada in quella folla».
Ancora ci raccontava il parroco di un fatto riguardante un attore che interpretava un ruolo da soldato romano e che quindi doveva essere munito di uno ”stiletto” o pugnale. Ebbene quando questo attore è uscito in scena, si è accorto che gli mancava lo ”stiletto”, allora siccome era cavaliere ed agli stivali aveva attaccati gli speroni, dopo aver pensato parecchio e quando fu il momento disse: «Muori assassino da questo calcio» e diede una pedata all’altro attore, che non sapendo cosa dire li al momento rispose: «Ahimè, lo stivale era avvelenato!»

D    Recitavano anche le donne e se no, perché?

R    No, non recitavano mai con noi e non si è mai chiesto perché. Le alunne delle scuole hanno recitato, ma però da sole.

D    Come facevate con i ruoli femminili?

R    Niente, si ”cassava” e basta, si tagliava.

D    Si facevano anche delle farse?

R    Sì e tante, adesso non se ne fanno più, ma ai nostri tempi non c’era una commedia se non si faceva dietro una farsa.

D    Cos’era una farsa?

R    Era un atto unico e corto, anche cortissimo, per far fare una risata alla fine della commedia e basta.
Quando poi si è iniziato a rappresentare commedie impegnate come ”La sessantesima squadriglia” o ” La porpora del re” che toccavano la gente a tal punto da far piangere, è stato deciso, per non rovinare l’effetto, di non farne più.

D    Recitavate solo in teatro o anche all’aperto?

R    Sempre in teatro.

D    Siete mai andati in trasferta? Con quali commedie?

R    Sì, parecchie volte. con ”Papà Falot”, siamo andati a Taio in Va di Non; con ”I due sergenti” siamo andati a Coredo.

D    Cosa prova a salire sul palco, adesso?

R    A salire sul palco adesso è una cosa ben diversa, perché: prima di tutto si è più istruiti, c’è più educazione nella gente e poi è tutta gente amica. Una volta non è che ci sia mai stata un’amicizia, una fraternità come c’è adesso, per modo di dire. Una volta non si era padroni di dire «Voglio quella parte li», in quanto era il sacerdote che decideva, a seconda di quello che pensava lui, la parte per ognuno; non come adesso, che ci si trova, si studia assieme e si decide quale parte assegnare ad ognuno.

D    Ma che emozioni prova adesso?

R    Adesso, a dire la verità, vado sul palco volentieri, anche se  sento che dovrei smettere per natura. Quanto la sera devo uscire per andare a prove, lo faccio molto volentieri, però mi accorto che non dovrei uscire, che sarebbe meglio fermarmi a casa, ma la passione c’è ancora.

D    Ci sono ancora dei suoi compagni che lavoravano allora con lei?

R    Pochi, ancora due o tre. Il Federico ”Palota”, l’Iginio ”Patata” e tra quelli che non hanno più fatto commedia: il Giulietto ”Presa”, il Gino Moratelli. Altri credo non ce siano.

D    Cosa significa per lei fare Teatro?

R    Per fare teatro bisogna essere precisi: il nostro famoso don Battisti ci diceva che il Teatro educa molto. Si impara a stare con la gente, ad essere più educati. Far Teatro è bello. La sera, nel periodo in cui si prepara una commedia, prima di andare a dormire mi ripasso la parte e a volte mi alzo per controllare sul copione se l’ho imparata bene.
Passione, così, viene proprio la passione.

D    Cosa Prova ad essere il più anziano attore filodrammatico del Trentino?

R    Non ci ho mai pensato, anche quando mi hanno detto che per la CO.F.AS. risulto essere il più anziano. Ho saputo che ce n’è un altro di 76 anni di S.Sebastiano.

D    Cosa le sembra del modo di far Teatro di adesso?

R    E’ bellissimo far Teatro adesso: per il modo di far commedia, di trovarsi assieme. Non capisco perché, spesso non si riesce a coinvolgere anche agli altri, in quanto penso sinceramente che si impari tanto a stare con la gente, a parlare, a pensare, a far tutto.

D    Cosa le sembra di noi attori giovani?

R    Bene, devo dire che siete bravi, preparati. Sono stato a tutte le commedie che hanno fatto i giovani. Il clima che c’è adesso è ottimo e noto che un tempo era preso più come un impegno che come divertimento il fare le prove. Mi trovo molto bene insieme ai giovani.

D    Provi a farci un elenco delle commedie che ha fatto?

R    Oh Maria Santa!, non me le ricordo tutte: le prime che abbiamo fatto sono state ”S.Tarcisio” e ”S.Mamete”, ”Ivonic”, ”I due sergenti”, ”Un Venerdì”, ”Di sotto il fanale”, ”Papà Falot”, ”La sessantesima squadriglia”, ”La porpora del re”, tutte quelle romane e poi non so quante ne potrei dire anche perché durante la guerra abbiamo smesso.
Abbiamo iniziato nel ’20, poi nel ’26 - ’27 c’è stata un’interruzione, poi venne la guerra; intorno al ’50 abbiamo ricominciato con le commedie ma ancora senza donne pur cambiando genere.
Siamo andati avanti fino a quando abbiamo fatto ”El Malgar ma che om” dapprima senza donne, ma poi con le attrici.

D    Voi siete stati i primi a fare ”El Malgar ma che om”

R    Sì, perché l’autore De Gentilotti abitava qua in zona e l’ha scritta sul Dos del Bue.

D    C’è stata una successiva pausa?

R    Certo, nel periodo del parroco don Renzo (anni 60), invece di far commedia si è privilegiato il cinema; abbiamo ricominciato nel ’77 con ”Farina e timor di Dio” e ”La baronessa dei Finferli” a cui ne sono seguite molte altre.

D    Avete realizzato commedie che richiedevano particolari accorgimenti tecnici?

R   Per realizzare ”L’incendio della miniera” abbiamo dovuto abbattere la parete in fondo al palco e costruire una grande porta per poter produrre un vero incendio, esternamente al palco.
Il nostro inventore era il Gigioti ”Forner”.

D     Per realizzare una commedia avevate disponibilità finanziarie?
 
R    Sì, ma molto poco, per lo più ci si arrangiava con quel che c’era disponibile, per esempio i sandali dei romani erano realizzati con del cartone e le attrezzature tecniche erano create con mezzi di fortuna.

D    Quindi facevate Teatro ”povero” ma non ”povero Teatro”?

R    Certo, come adesso. La nostra ricchezza era ed è costituita dall’impegno, passione e l’amicizia che ci unisce.
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