
Angela Demattè, Andromaca in "Le troiane" Foto © Luigi Nifosì
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La guerra è finita. Attorno ai resti combusti e fumiganti della città di Troia giacciono vuoti bidoni di petrolio. Nessuna meraviglia, perciò, che gli dèi Poseidone e Atena, manovratori delle vicende umane, vestano, parlino e si muovano, lui come un manager schizzinoso, lei come una signora in carriera con aria neuropatica...
Comincia così la rappresentazione delle Troiane di Euripide (anno 415 avanti Cristo), messe in scena dal regista spagnolo Mario Gas al Teatro greco di Siracusa per il XLII ciclo di spettacoli classici; né ci meraviglia che Andromaca e il figlioletto Astia-natte, condannato a essere scaraventato giù dalle rocce, arrivino, per l'ultimo saluto alla nonna Ecuba, a bordo di un autocarro.
Questo e altro drammatizza la dolente storia delle madri, delle spose, delle sorelle, delle figlie dei vinti che attendono di seguire, schiave, i vincitori cui sono state assegnate: una storia veduta e sofferta attraverso una sorta di disarmata ingenuità e senza l'inutile pudore di rinunciare agli effetti facili.
Resta comunque vittoriosa la poesia di Euripide; e lo spettacolo, tra scene e costumi di Antonio Belart, oltre che per la tensione di Cristina Spina e Angela Demattè e per il rigore con cui Luca Lazzareschi esprime il personaggio del messaggero Taltibio, vale tutto per l'interpretazione di Lucilla Morlacchi, intrisa di una verità autentica, il cuore teso a una calda, commovente sofferenza.
Carlo Maria Pensa
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